OLTRE AL PRODOTTO, IN NEGOZIO SI CERCANO RISPOSTE AI DESIDERI, CONFERME E UN RICONOSCIMENTO DELLA PROPRIA IDENTITÀ. DOPO LO SCORSO ARTICOLO, TORNO A PARLARE DEL TEMA
Nello scorso articolo abbiamo cominciato ad indagare il concetto di Experience Design: cosa si intende e perché oggi è così importante, per i retailer e per l’industria, saper progettare un’esperienza appagante per i propri utenti.
Ma esperienza in che senso?
Quella che si snoda in negozio, ad esempio, dove il consumatore, oltre al prodotto, cerca molto di più. Ovvero risposte ai propri desideri, conferme delle proprie abitudini, e in definitiva un riconoscimento della propria identità.
Ecco perché è importante lavorare con questo obiettivo: accogliere le domande inespresse del cliente e tradurle in benessere. A tal fine è importante sviluppare una cultura aziendale interna ad ogni livello, che sia incentrata su quelle domande e sulle risposte da destinare ad ognuna.
Cosa c’è dunque alla base della cosiddetta Experience Design?
Osservazione del cliente
in ogni fase della ricerca di un prodotto e della vendita, comprensione del suo approccio personale ad oggetti e situazioni, scala delle sue priorità, tipo di interazione che si attende durante l’acquisto e, più a monte, col brand che sceglierà. Un percorso tortuoso che richiede alle aziende molta sperimentazione tra analisi e test, finché i dati non indichino che si è sulla strada giusta.
Proviamo a scendere un po’ più nel concreto, provando a capire come si può sviluppare e misurare una vera esperienza di valore nei negozi fisici, arena privilegiata dell’Experience Design, che mette a confronto un cliente sempre più informato con uno spazio d’acquisto più vivo e vibrante di quello dello shopping online.
Competenze trasversali
Sappiamo che progettare un’esperienza richiede competenze trasversali, dalla conoscenza del cliente e del suo percorso d’acquisto alla definizione di ambienti, servizi e interazioni, fino all’utilizzo di tecnologie innovative.
Se parliamo di progettazione di ambienti, esistono alcune regole da non disattendere. Dobbiamo innanzitutto ricordare che il primo impatto con il negozio è determinante, giacché è l’elemento che mette immediatamente il cliente in una condizione di sorpresa ( non mi aspettavo un negozio così bello), di soddisfazione ( sono proprio entrato nel posto giusto) o di disagio ( forse ho sbagliato negozio).
E questo dipende solo in parte dai prodotti esposti ma riguarda proprio l’organizzazione dell’ ambiente, l’illuminazione, l’altezza degli scaffali, lo spazio tra loro e molto altro, in un mix di pulizia, ordine e comfort di esplorazione.
L’arredamento deve essere curato e moderno, meglio se con un design distintivo, la musica di sottofondo piacevole e mai ad alto volume. Tutti elementi, questi, che devono concorrere a una sosta quanto più lunga e gradevole possibile tra i lineari del punto vendita, proprio come quando invitiamo degli amici a casa.
Poichè il negozio è la casa dei suoi acquisti, solo così, sentendosi a casa, il visitatore di passaggio o il cliente habituè saprà mettersi a proprio agio e trovare ciò che gli serve. Ma soprattutto ciò che lo rispecchia. Se parliamo di prodotti, questi devono essere il più possibile fruibili e confrontabili, meglio se a ”libero tocco”.
Questo aspetto è fondamentale per poterne saggiare i materiali e le forme, testarne l’ergonomia se si tratta di un piccolo elettrodomestico e provarne i comandi. Ma il punto vendita fisico, a differenza di un e-commerce, ha anche altre carte da giocarsi, stimolando un’esperienza che coinvolge tutti i sensi: dalla vista al tatto, dall’olfatto al gusto, e che vanno dosate e utilizzate in maniera integrata.
Anche la presentazione sui lineari ha la sua importanza; il visual merchandising e le sue regole ci offrono le basi per creare un’esposizione ‘’parlante’’, facile da leggere, che svolge già una buona parte del lavoro di vendita ancor prima dell’intervento dell’addetto.
Giacché il negozio è un luogo di esperienza, appunto, e non un magazzino, è essenziale non sottovalutare la portata di questo aspetto, che può cambiare la faccia, e dunque le sorti, di uno store..
Il lato umano della vendita
Non va assolutamente trascurato il lato “umano” della vendita, e la sola competenza non basta. Serve la cosiddetta empatia, quel modo di mettersi nei panni dell’altro fino a sentirne i sussulti. Non basta un servizio clienti di alto livello, occorrono anche la disponibilità basata sull’ascolto e la flessibilità dei migliori problem solver. Non è un reato servirsi di mezzi tecnologici come tablet e kioski multimediali per supportare il cliente nella scelta del proprio bene. Sarà oltretutto un modo per presentare assortimenti più ampi di quelli presenti fisicamente in negozio, accedendo al famoso ‘’scaffale virtuale’’.
E nell’epoca di sconti e sottocosti, la personalizzazione è ciò che conta, anche in tema di promozioni, da proporre al cliente in base alle sue preferenze di acquisto, allo storico di acquisti e al suo comportamento in negozio.
Solo così è possibile agire sull’emotività di ciascuno, che è la leva di ogni decisione. A volte basta offrirgli una tazza di caffè o un piccolo regalo, o organizzare attività che lo coinvolgano: un corso di formazione o di test su una nuova tecnologia, una degustazione o un cooking show, fino a un corso di ginnastica.
Misurare l’esperienza
Ci siamo detti che per fare Experience Design bisogna testare e misurare, ebbene la misurazione passa anche dalla raccolta dei feedback dei clienti. Chiedere ai clienti di lasciare un feedback sul loro shopping attraverso un questionario, un sondaggio, una recensione, magari online o tramite semplice colloquio, aiuta a migliorarne l’esperienza e a creare un negozio ancora più vincente. Non bisogna avere paura di raccogliere opinioni negative, sono proprio quelle che spingono – se si è ben disposti al cambiamento – a migliorare l’esperienza offerta.
Accanto ai sondaggi è possibile comunque usufruire degli indicatori chiave di performance (KPI), in grado di riflettere gli obiettivi del negozio e le aspettative del cliente.
Ecco alcuni esempi di KPI :
- l tasso di conversione, ovvero la percentuale di visitatori che effettua un acquisto
- Il valore medio dello scontrino: quello degli acquisti per ogni cliente
- Il tasso di ritorno, cioè la percentuale di clienti che tornano a comprare
- Il tasso di raccomandazione: la percentuale di clienti che consiglia il brand ad altri
- Il livello di soddisfazione, ossia il grado di apprezzamento del cliente verso l’esperienza di consumo
Ma come raccogliere i dati e analizzare i KPI ?
I principali strumenti sono :
- I sistemi di analisi interna basati sui software gestionali e CRM, che consentono di analizzare nel dettaglio le vendite per singolo cliente o per cluster fornendo preziose informazioni sulle preferenze e sulla frequenza d’acquisto.
- I sistemi di tracciamento in-store, che permettono di rilevare il flusso dei visitatori fisici e le loro interazioni con gli spazi, i prodotti e i servizi. Sono utili soprattutto nei negozi di grandi dimensioni.
- Per i retailer omnicanale diventa importante anche incrociare i dati del negozio con quelli degli analytics on-line per scoprire come avviene in effetti il viaggio del cliente nel percorso d’acquisto, che magari inizia proprio sui canali digitali per poi concretizzarsi nel negozio fisico.
L’analisi dei dati consente di valutare l’efficacia dell’Experience Design nel retail e in un punto vendita fisico per ottimizzare l’esperienza di consumo e aumentare la competitività del brand.
Per concludere, vi sono moltissimi esempi di Experience Design e della sua applicazione nello sviluppo di un punto vendita fisico, l’obiettivo è più che mai lo stesso: creare un’esperienza memorabile e coinvolgente, che incoraggi i clienti a tornare in negozio e a raccomandarlo ad amici e familiari.